Una gran parte di epigrafi in probabile lingua sicula sono state rinvenute a Licodia Eubea.
Va in ogni caso ascritto al merito di uno studioso locale, una di quelle persone che si dedicano spinte da motivi del tutto soggettivi ad approfondire con pignola attenzione ai particolari e alle minuzie per dare conto al lettore e per mettere in condizione anche il poco esperto osservatore di rendersi conto del tema trattato e delle difficoltà del lavoro dello studioso specialista.
Il prof. Sebastiano Sciorto ha affrontato la divulgazione del materiale archeologico nel libro “LICODIA EUBEA e le pietre scritte”.
La passione che il prof. Sciorto dedica al tema del suo interessante lavoro, facendo uscire questo argomento dal recinto delle discussioni riservate agli specialisti, nel quale è di regola confinato, è veramente ammirevole.
L’errore che spesso commettono gli studiosi è quello di pensare che il risultato del loro impegno non interessi altre persone, estranee al loro campo di studi. Gli studiosi dovrebbero dedicare più tempo e attenzione alla divulgazione degli studi e dei risultati del loro impegno lavorativo.
Appare evidente che la scrittura si svolge da destra verso sinistra e potrebbe significare “ Adiomis figlio di Raroio”
Le “pietre scritte” provenienti da questo territorio sono pubblicate e studiate dagli specialisti. Il prof. Sebastiano Sciorto ha riassunto lo stato dell’arte nel suo accurato lavoro, mettendo a confronto i vari studi e le diverse ipotesi di interpretazione. Sono riferite le circostanze del ritrovamento, la localizzazione del reperto, le informazioni sulle dimensioni e sul materiale su cui si legge il testo e ogni informazione utile alla completa conoscenza del documento.
Gran parte del materiale proviene da una necropoli ritenuta sicula, che si fa risalire almeno al VII sec. a. C.
Una delle epigrafi, in primo momento fu ritenuta in lingua sicana, ma successivamente si ritenne di considerarla di lingua sicula, a conferma delle incertezze e delle oscillazioni degli studiosi nelle valutazioni dei materiali esaminati. Altri reperti sono datati come pertinenti ad epoche successive, e cioè al periodo greco e al periodo romano.
La pietra che contiene l’iscrizione, scoperta nel 1934, fu studiata dal prof. Ribezzo, che la ritenne in primo tempo come sicano-italica.
Appare evidente la scrittura del testo in spirale e il cui significato potrebbe essere “Nenda Purenos (oppure Eubenos), a causa della guerra in Burena, rase al suolo l’acropoli e attaccò cinque villaggi”
Un altro reperto da Centuripe è incluso nei testi di lingua sicula. Si tratta di un contenitore utilizzato per bere liquidi, un guttus, meglio definito askos, oggi esposto nel museo di Karlruhe (Germania).
Il vaso fu trovato in una tomba a Centuripe da un agricoltore probabilmente nel 1824, il quale lo utilizzò per le necessità familiari della sua modesta abitazione, nei pressi della sorgente Fontanelle.
Della località dove si trovava la tomba nulla è detto, ma non si può fare a meno di ricordare la prossimità alla località della nostra ricerca..
L’altezza del vaso è di cm. 14 e il diametro massimo di cm. 25. La scrittura è in lettere greche arcaiche, con termini del dialetto calcidesi, il dialetto dei greci fondatori di Katane, senza separazione tra le parole e si sviluppa in senso “bustrofedico”, da destra verso sinistra.
Tradizionalmente si assegna all’anno 500 a. C.
Secondo il prof. Giacomo Manganaro, dell’Università di Catania, che l’ha pubblicata in Archeologia Classica Roma 1961, la sua interpetrazioni è la seguente“ NUNU STE(N)TIMEI MARU STAINAM – HEMITON ESTI DUROM – NANEPOS, ((DUROM)) HEMITOM ESTI VELHOM, NED EMPONITANTOM EREDES VIINO BATO ME”.
La traduzione:” A Nono Stentimi magistrato il vaso – per metà è un dono di Nanepos – per metà è proprietà; non riempiano di vino gli eredi al colmo me”.
Altre tre traduzioni alternative sono pubblicate da altri studiosi.
Occorre aggiungere che l’attenzione e l’interesse degli studiosi verso questo tipo di reperti, si è diffuso in epoca recente.
La lettura del lavoro del principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello, “Viaggio per le Antichità della Sicilia”, osservatore dei resti archeologici esistenti ai suoi tempi e collezionista di reperti archeologici raccolti nel museo del suo splendido palazzo di Catania, non riporta alcuna traccia di iscrizioni precedenti all’epoca greca.