Alla morte di Gerone, Catania, libera da siracusani e stranieri greci, tornò in mano agli antichi abitanti, che erano i fondatori greci calcidesi e megaresi provenienti da Naxos. I siracusani erano in piena espansione e molto minacciosi. La città di Catania, per timore di Siracusa, cercò alleanza con Atene.
L’esercito ateniese, guidato da Nicia, Demostene ed Alcibiade, dopo un inizio vittorioso, conquistò, infatti, i territori intorno a Siracusa, sottomise Centuripe, saccheggiò Inessa e Ibla nell’anno 415 a. C., fu sconfitto da Dionigi il Grande, sostenuto dallo spartano Gilippo e dagli armati di Corinto nell’anno 413 a. C.
Dionigi il Grande riprese Catania e il territorio etneo.
La potenza di Siracusa cresce, si scontra con Cartagine alla quale infligge memorabili sconfitte.
Le vittorie riportate, arricchiscono la città che si abbellisce e si rafforza.
A Siracusa arrivano artisti e poeti, pittori e architetti, filosofi e scienziati e i prodotti dei loro studi e delle loro applicazioni sono tramandati nella memoria e nei resti dei monumenti ancora esistenti.
Arriva Platone, c’è Euclide, arriva anche Eschilo, che scrive un’opera teatrale Le donne etnee, oggi perduta.
Le ricchezze conquistate sono in parte offerte agli dei protettori e ne rimane testimonianza a Delo e in altri famosi santuari greci.
I prigionieri apportano mano d’opera gratuita per le opere pubbliche, i templi e per l’agricoltura. Anche la guerra con gli Etruschi riesce vittoriosa e i pirati del Tirreno sono cancellati.
Diversi centri etnei e gran parte del territorio della piana del Simeto furono assegnati da Dionigi agli alleati Campani, - i quali in seguito si fecero chiamare Mamertini perché seguaci del dio Mamers, il Marte dei latini -, in compenso dell’aiuto ricevuto.
I Campani erano soldati mercenari molto apprezzati provenienti dalle regioni del sud Italia, dalla Campania, Sannio, Basilicata e Calabria, e si sparsero per tutta la Sicilia orientale e centrale fino a Messina.
Curiosamente ai nostri tempi, gli abitanti di Milazzo, in dialetto locale, si chiamano tra loro mamertini.
Alcuni secoli dopo il loro arrivo in Sicilia, i Mamertini si scontrarono con i Cartaginesi e allora cercarono l’appoggio dei romani, i quali approfittarono dell’occasione per avviare la seconda guerra punica, che si concluse con la conquista da parte di Roma della Sicilia intera.
I luoghi fortificati di Inessa e di Aitna, in mano ai Mamertini furono organizzati in centri di approvvigionamento e di allevamento di bovini, suini, ovini ed equini.
Nella cartina di fig. 4 si vede che anche in epoca moderna l’allevamento dei cavalli fu impiantato a Pietralunga. Le notevoli risorse del territorio furono adeguatamente sfruttate e l’area si popolò intensamente.
Si può riflettere sul fatto che i sicani rozzi coltivatori e allevatori, i siculi violenti e i campani prepotenti abbiano vissuto insieme su quel territorio, ognuno con la propria lingua, le proprie tradizioni, le proprie leggi e le proprie usanze, da queste terre abbiano tratto sostentamento e utilità economica, ricavandone anche risorse e vantaggi.
Una comunità plurietnica, multilingua e, quasi certamente, con propri ordinamenti, amministratori, comandanti e magistrati.
L’economia del tempo che investiva al massimo nell’agricoltura, - grano, orzo, spelta, legumi e altri prodotti della coltivazione-, aggiunta all’allevamento di bovini, suini, ovini ed equini portava benessere e disponibilità di denaro.
Non deve essere sottovalutato l’apporto delle mercedi di guerra, i soldati mercenari volevano paghe in denaro e gli studiosi pongono l’accento che la rilevante monetazione di Siracusa era conseguenza della necessità di fare fronte alle retribuzioni dei militari arruolati, e del risultato dei saccheggi dei luoghi dove effettuavano le scorrerie.
Non è sottovalutato l’apporto all’economia del ricavato dei compensi ricavati delle località, alle quali offrivano manodopera e braccia specializzate.
Dai reperti archeologici raccolti, frammenti di grandi contenitori per la conservazione di derrate alimentari, recipienti di rilevante capacità ornati e decorati, attrezzi, armi e monete, si deduce che la gente che abitò queste terre non era né deperita, né indigente, né sprovvista di mezzi tecnici ed economici sufficienti alle necessità quotidiane.