Nella parte in alto a sinistra della figura 12 non dovrebbe essere difficile individuare l’indicazione topografica della Strada delle valanghe. Si tratta della denominazione locale, probabilmente corruzione del termine “calanchi”, di un’antica viabilità che collegava e ancora oggi collega Agrigento a Catania. Ai tempi di Falaride era percorribile con i cocchi, un’autostrada.
Questo percorso dall’antichità è stato utilizzato per gli spostamenti dalla parte sud dell’isola verso la parte est, e viceversa, sia per motivi commerciali sia militari.
È assolutamente improprio pensare che alla base della denominazione ci sia un qualche motivo di carattere geologico che caratterizzi questo tracciato stradale rendendolo pericoloso o, in ogni caso, esposto a fenomeni di instabilità del terreno di particolare rilevanza e significato. Tali fenomeni, per fortuna, non sono usuali, sul territorio siciliano, se non nella misura comune a tutti i terreni di natura argillosa esposti agli eventi atmosferici di piogge torrenziali. Né si può pensare che esista, nel centro della piana di Catania, un luogo dove le precipitazioni nevose siano tali da formare consistenti accumuli a rischio di sciatori incauti e appassionati del fuori-pista.
La fantasia popolare delle lunghe sere sprovviste di diversivi e distrazioni ha alimentato la leggenda di una località dove era possibile impantanarsi in fanghiglia argillosa da cui non era facile uscire e la fantasia si è tramandata ai toponimi. La fantasia moderna potrebbe installare lungo la strada moderna paracarri naturali come le palle di pietra di cui abbonda il corso del fiume Simeto.
Diodoro, notissimo storico nato in Agira (EN) si pensa intorno all’anno 90 avanti Cristo e morto forse nell’anno 20 avanti Cristo, visse a Roma, viaggiò in Egitto e lasciò un’opera “Biblioteca Storica”, in 40 libri, nella quale racconta le vicende storiche dei secoli anteriori alla sua esistenza in Roma, in Grecia, in Sicilia. Ovviamente ha raccolto e tramandato quanto altri scrittori a lui precedenti hanno lasciato, Timeo, Filisto (ca. 430- 356) e altri.
Diodoro, sulle vicende di Aitna e sui rapporti degli abitanti di questo luogo con Siracusa e con Dionigi, scende in diversi particolari. Racconta che Dionigi non era particolarmente benvisto nella sua Siracusa. Diversi oppositori tra il popolo lo contrastavano e tentarono di cacciarlo. Erano quasi riusciti a sconfiggerlo e a mandarlo in esilio, ma Dionigi richiamò i suoi alleati (i Campani di Aitna, tra cui, in particolare, circa mille duecento cavalieri), riuscì a battere gli avversari e a recuperare la Siracusa. La sua gratitudine verso chi lo aveva rimesso al potere fu concreta e appropriata. I Campani ebbero libertà di fare tutto quello che volevano e arrivarono ad impadronirsi anche di Messina. Se l’informazione di Diodoro è corretta (XIV 3,4,5), l’esistenza di milleduecento cavalieri in Aitna, oltre agli altri soldati armati, significa che, nella zona di Aitna vivevano non meno di trentamila abitanti con cavalli e altri animali e le necessarie risorse alimentari.
L’esame della topografia in fig. 3, confermata dalle prove ottenute dall’archeologia, induce l’ipotesi che nel territorio oggi noto come Pietralunga, masseria Poira, Poggio Cocola e Monte Castellaccio erano insediati i centri abitati noti come Aitna e Inessa e l’ampiezza dell’area occupata rende plausibile l’ipotesi.
Lo confermano gli archeologi che vi hanno lavorato, il prof. Rizza dell’Università di Catania negli anni 1950, il prof. Brian E. Mc Connell dell’Università di Princetown, la dr.ssa Branciforti della Sopr. BB.AA.CC. e altri dell’Archeoclub di Paternò, oltre al gruppo del 23° Distretto scolastico, negli anni successivi al 1991.
Nel citato volume “Pietralunga” si ritrovano preziose informazioni sul lavoro degli archeologi e su quello degli altri numerosi studiosi che vi prendono parte tra cui biologi, tecnici, fotografi.