Nel 1993, durante i lavori ancora in corso progettati dal Comune di Concerviano e finanziati dalla Regione Lazio, per il restauro del complesso edilizio, nell'Abbazia di San Salvatore Maggiore nel reatino, si ebbe, per merito degli operai che vi lavoravano, il casuale rinvenimento, sull'altare della prima cappella a sinistra della Chiesa abbaziale, di una statua posta dietro un muro che la celava interamente, nascondendola alla vista e, di fatto, da secoli la proteggeva dai saccheggiatori e vandali che negli ultimi anni hanno scorrazzato nell'edificio.
L'evento costituisce sicuramente un avvenimento particolare, imprevisto ed emozionante, finora inedito.
La statua, ora resa visibile, raffigura, a grandezza naturale, un anziano religioso in lunga veste bianca e sulle spalle un piviale dorato che lo avvolge, fermato sul petto da una fibbia, con un libro nella mano destra all'altezza del petto e la mano sinistra con le prime tre dita aperte distesa lungo il fianco.
La statua - ad un esame non ravvicinato né approfondito, per il quale nessuna autorizzazione è stata chiesta né rilasciata, - presenta dei danni non eccessivi al viso, sulla fronte, fino all'occhio sinistro, mentre è integro l'occhio destro e il naso.
È integra anche la parte restante del viso; questo è completato da grandi baffoni e da una lunga, bianca, ondulata e folta barba.
Il braccio sinistro pende rilassato lungo il fianco sinistro, la mano è danneggiata e tre dita - pollice, indice e medio - sono semiaperte come nel gesto di chi impartisce la benedizione o, forse, di chi enumera tre argomenti molto importanti nel corso di un'importante dissertazione teologica.
Le dita hanno perduto il materiale di cui erano costruite e fanno apparire i ferri dell'armatura di sostegno.
Un'idonea indagine dovrebbe permettere di rilevare il complesso dei ferri dell'armatura e l'identificazione del procedimento di costruzione, e un’ipotesi di data di nascita.
La statua ha il capo scoperto e lo sguardo è volto in avanti, all'altezza degli occhi.
L’oggetto sembra in gesso, piuttosto ordinario. È colorato, sia nelle parti scoperte del corpo che nell'abbigliamento. In particolare il piviale è colorato in giallino, ornato con una frangia marginale molto ricca e decorativa, è chiuso con la tipica fibbia pettorale che dovrebbe essere dorata ma è coperta sotto la mano destra. La tunica è bianca, come quella dei frati dell'ordine cistercense.
I limitati danni non sembrano inferti volontariamente, anche perché, se fossero stati intenzionali, tenuto conto del materiale di cui è costituita l'immagine, sarebbe stato molto facile deturparla ancora di più o distruggerla del tutto.
Non c'è il pastorale e da questo si dovrebbe dedurre che la statua non raffigura un vescovo.
La nicchia che contiene la statua, sovrasta l'altare e, in corrispondenza dell'arcata, presenta una strombatura affrescata con quattro medaglioni ornamentali più piccoli e cinque ovali più grandi, di cui solo uno leggibile a prima vista. Vi è raffigurato un monaco in ginocchio, in tunica bianca e scapolare nero con disciplina e cingolo e lunga barba bianca, che riceve un libro dalle mani di un altro personaggio in piedi, in tunica dorata e aureola, inseriti in un paesaggio agreste sereno e armonioso. La scena fa venire in mente san Benedetto che consegna la regola ad un monaco.
La statua è murata alla base, su una cornice che corrisponde alla sommità dell'altare, e se ne deve dedurre che era oggetto di culto ordinario, ancorché collocata sull'ultimo altare della chiesa e pertanto nel luogo di minor rilievo.
La muratura a parete di mattoni intonacati e colorati ha protetto l'immagine, nascondendola tanto bene che ora questo reperto costituisce l'unico oggetto di culto rimasto nell'edificio sacro, l'ultimo oggetto di culto decorativo leggibile dell'antica abbazia, dove quello che resta non è che qualche lacerto di affresco e pochi frammenti molto danneggiati di pitture sparse sui muri dell'edificio, che denunciano i tentativi di furto.
Non è usuale che una statua posta su un altare di una chiesa ad un certo momento sia nascosta dietro un muro, quasi seppellita, e lasciata lì nascosta per tanto tempo.
Nel momento in cui il culto di un santo cade in desuetudine per un qualunque motivo, la sua immagine, di regola, è tolta via dall'altare e posta in sagrestia o in un magazzino, a volte sostituendola con un'altra immagine.
La decisione di seppellire la statua dietro un muro lasciandola sull'altare fa pensare ad una volontà di eliminazione, di cancellare il riferimento, lasciando un vuoto intenzionale.
La data scolpita sull'architrave della porta di ingresso alla chiesa è scorretta, vi si legge, infatti "156", ma sulla stampa che riproduce l'antica porta del tempio, porta da qualche tempo perduta, dove sono raffigurate su formelle di legno le comunità dipendenti dal monastero del S. Salvatore, la data stessa è più correttamente scritta come "A.D. MCCCCCVI TPE IULII PP II" -" anno del Signore 1506 al tempo del papa Giulio II".
Il portale è riprodotto sulla quarta pagina di copertina dello studio appassionato di Bernardino Tofani "Longone di S.Salvator Maggiore nel Gastaldato di Rieti e nella Massa Torana", edito nel 1988 dalla Comunità montana del Turano, ente che nella zona sostiene da qualche tempo le iniziative culturali dei figli di quella nobile terra, raccogliendo e tramandando storia e tradizioni di grande valore sociale e celebrativo.
La curiosità di saperne di più ha stimolato la ricerca dell'identità del personaggio raffigurato, delle circostanze del "seppellimento", dei rapporti con i monaci di San Salvatore, dei tempi in cui i fatti si sono svolti, delle motivazioni alla base degli eventi.
La ricerca dell'identità del soggetto raffigurato ha fatto notare che nel salone del palazzo vescovile di Rieti è conservato un grande affresco, dove il personaggio rappresentato, in veste di monaco cistercense, è denominato S. Balduino.
La somiglianza dei tratti somatici tra il personaggio raffigurato nell'affresco e la statua disseppellita, l'uguale atteggiamento, l'identico abbigliamento è notevole e se ne può dedurre l'identità.
La stessa figura si ritrova nell'affresco, opera di Antonazzo Romano o del figlio, Marcantonio Aquili, conservato, dopo accurato restauro, sull'altare della prima cappella di sinistra della Cattedrale di Rieti, anche se nel dipinto la figura appare mutilata e sbiancata. Nel testo di Francesco Palmegiani "Rieti e la regione sabina" rist. anastatica dell'Amministrazione Provinciale di Rieti del 1988, a pag. 194 è confermato il riconoscimento in conformità a un inedito documento non precisato.
Vi si ritrova anche la precisazione che il corpo di San Balduino fu trasportato nella Cattedrale (da S. Matteo) e solennemente inumato nella cappella nel 1494.
In realtà il verbale notarile di Antonio Mandi de Pucciaritiis, conservato nell’Archivio di Stato di Rieti, è datato 1493 e i resti dell’abate Balduino, dopo essere stati conservati per un certo tempo nell’altare maggiore della cattedrale, furono traslati nell’altare della cappella della Madonna delle grazie per decisione del vescovo.
Se, come sembra certo, la chiesa del monastero di S.Salvatore è stata rifatta nel 1506, in seguito a un ampio rinnovamento del complesso abbaziale di cui in ogni caso non sono noti i termini e la portata, la statua probabilmente vi è stata collocata nella stessa epoca.
Se la statua fosse più antica, potrebbe anche provenire dalla precedente o dalle precedenti chiese del monastero, ma questo non spiega il motivo della venerazione di Balduino a S. Salvatore.
Va in ogni caso sottolineata la sequenza cronologica tra l’iniziativa di recuperare i resti dell’abate Balduino e l’installazione della statua sull’altare dell’abbazia.
L'esistenza della statua dell'abate sull'altare della chiesa del monastero dovrebbe essere la prova dello stretto legame tra il monastero e il personaggio raffigurato.
Nella "BIBLIOTHECA SANCTORUM" ed. Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, dalla pag. n. 726 sono elencati i Santi di nome Baldovino:
- Baldovino di Bougle, monaco cistercense, fondò un monastero nel nord della Fiandra, santo, morto nel 1205.
- Baldovino arcivescovo di Canterbury, beato, monaco cistercense, partecipò alla crociata dell'imperatore Federico Barbarossa, morì durante l'assedio di Accon (Acri) il 19 novembre 1190 e fu sepolto a Tiro.
- Baldovino arcidiacono di Laon (i monaci benedettini di S. Salvatore portavano un copricapo particolare ed erano chiamati non certo con simpatia "berrettanti"; nel provvedimento del papa di scioglimento della comunità si precisa che l'appellativo deriva "a bireto de Laonensi"), santo, martire. Fu assassinato nell'anno 879 quando Ebroino, dopo la battaglia di Lucofao, si preparava a stringere di assedio la città di Laon.
- Baldovino, cardinale arcivescovo di Pisa, beato. Discepolo di S. Bernardo a Chiaravalle, fu eletto cardinale nel 1130 da Anacleto II. Papa Innocenzo II nel 1138 lo nominò arcivescovo di Pisa e legato in Sardegna. E' raffigurato nella Primaziale di Pisa, con il capo cinto di aureola nell'atto di approdare in Sardegna e di rifiutare l'omaggio del giudice di Arborea. S. Bernardo, nell'epistola CCXLV indirizzata a Papa Eugenio III, afferma che il provvedimento di Baldovino deve ritenersi giusto, data la rettitudine di Baldovino "di santa memoria".
- Baldovino di Rieti, abate cistercense, beato. Figlio di Berardo X, conte dei Marsi, e fratello di Rainaldo, abate di Montecassino, consacrato cardinale da Innocenzo II nel 1138. Era stato ricevuto come monaco nell'abbazia di Chiaravalle sotto la guida e il magistero di S. Bernardo. Nel 1138 fu inviato a presiedere il monastero di S. Matteo presso il lago di Montecchio, a un'ora di distanza da Rieti. S. Bernardo gli indirizzò l'epistola CCI di consolazione e incoraggiamento. Morì nel 1140 e fu sepolto nella cattedrale di Rieti forse dal confratello vescovo Dodone. Fin da principio fu venerato nel reatino, luogo dove aveva operato con santa vita e ricchezza di grazie e miracoli, attraverso i quali Dio l'aveva glorificato. Le sue reliquie sono conservate sotto la mensa dell'altare marmoreo della cappella detta "delle Grazie", mentre il capo è si conserva in un busto argenteo raffigurante il beato e nelle grandi solennità è esposto sull'altare maggiore della cattedrale, insieme con altri reliquiari. A Rieti la sua festa è celebrata il 21 agosto. La Congregazione dei riti nel 1701 approvò l'ufficio del beato, con la lectio storica, la colletta e la missa de communi abbatum. I cistercensi celebrano l'ufficio il 24 luglio, i bollandisti il 24 agosto, il menologium cistercense il 15 luglio. Dopo la morte di Baldovino l'abbazia di S. Matteo, troppo esposta ai miasmi della palude reatina, fu spostata all’origine dove prese il nome di abbazia di S. Pastore.
- Baldovino, abate di S. Edmondo, beato. Monaco a S. Dionigi, entrò nell'abbazia di S. Edmondo in Inghilterra dove nel 1065 fu eletto abate. Morì il 29 dicembre 1097, la memoria è ricordata il 30 dicembre nei martirologi benedettini.
L'abate Balduino di Rieti, secondo le notizie della Bibliotheca Sanctorum, sarebbe stato figlio del conte dei Marsi Berardo X e fratello dell'abate di Montecassino Rainaldo. Monaco cistercense, discepolo di S. Bernardo, nominato cardinale da papa Innocenzo II nel 1138, sarebbe stato inviato da S. Bernardo all'abbazia di S. Matteo di Rieti per esserne l'abate. Vi sarebbe morto nell'anno 1140.
Il prof. Tersilio Leggio - com’è a lui consueto - nell’accurato e approfondito studio "Momenti della riforma cistercense nella Sabina e nel Reatino tra XII e XIII secolo", pubblicato sul n. 1, p. 18 e segg. della Rivista storica del Lazio, ha esaminato a fondo l'argomento e ha contestato numerosi aspetti della comune valutazione:
- la tradizione, basata su elementi fragili, anzi inesistenti, secondo la quale Balduino sarebbe stato figlio del X conte dei Marsi Berardo;
- il legame di parentela con Rainaldo, abate di Montecassino;
- l'incarico di abate di S. Matteo;
- le capacità pastorali e organizzative dell’abate Balduino;
- i risultati del lavoro di bonifica delle paludi e degli acquitrini.
Per il prof. Leggio, la tradizione concernente l’appartenenza del monaco Balduino alla famiglia del Conte Berardo X dei Marsi è emersa in epoca tarda ed è sprovvista di conferme documentali.
Allo stesso modo è privo di conferme documentali il legame con Rainaldo abate di Montecassino e cardinale.
L’incarico di abate dell’abbazia di S. Matteo è improponibile perché quest’abbazia è stata fondata dopo il 1205, dopo la morte di Balduino.
L’abate Balduino si rivela tentennante ed esitante ed ha avuto necessità di conforto e sostegno da S. Bernardo nella lettera n. 201.
Il rinvenimento dei resti dell’abate Balduino a S.Matteo è verbalizzato in un atto notarile del 1493 e pertanto è fuori discussione, ma restano oscure la data e le circostanze della morte e del seppellimento.
L'esiguità dei dati storici disponibili ha fatto scrivere ad altri storici reatini che di S. Balduino e delle sue doti di pastore, maestro e benefattore si sono perdute tutte le tracce materiali con la sua scomparsa e nel concreto, già da secoli, nonostante le ricerche effettuate negli archivi diocesani (Luca Baruzzi presso Maceroni, v. appresso), nulla è stato rinvenuto.
Il prof. Giovanni Vincenti Mareri, storico della nobile stirpe reatina, ha descritto in un poderoso lavoro "Una discendenza ed il suo millennio di storia" inedito conservato nella Biblioteca Comunale di Rieti, i risultati dei suoi approfondimenti. Egli aveva a disposizione anche le antiche pergamene dell'archivio di famiglia ed è arrivato alla conclusione (pag. 69) che il monaco Balduino sia stato fratello e non figlio del conte Berardo dei Marsi e che i figli di Berardo fossero:
- Rainaldo Sinibaldo conte di Mareri, signore di Rocca Sinibalda e padre dell’abate Adenolfo, che incontreremo più avanti;
- Beatrice andata sposa a Ruggero re di Sicilia;
- Rainaldo II abate di Monte Cassino e cardinale benedettino.
Da Rainaldo Sinibaldo sarebbero nati Filippo, conte di Mareri, Adenolfo abate di s. Salvatore e di Farfa e Giovanni.
Da Filippo nacque santa Filippa Mareri.
Da Beatrice e Ruggero di Sicilia nacque Costanza andata sposa a Enrico VI imperatore di Germania e da questi nacque Federico II imperatore.
Secondo questa genealogia Balduino sarebbe stato lo zio di Rainaldo abate di Monte Cassino.
Nella Lectio IV propria della celebrazione della messa dell'abate Balduino che si celebra dalla Diocesi di Rieti il 21 agosto di ogni anno, si fa ancora riferimento al rapporto di filiazione del santo con il conte Berardo e al legame di fratellanza con l'abate cassinese RAMARDO cardinale di S.R.C.
Il prof. Vincenti Mareri esclude l'esistenza di un abate Ramardo cassinese e ritiene che si tratti di un errore di lettura e che il nome corretto sia RAINALDO da Collemezzo, il quale subì a Cassino gravi danni e ruberie proprio da Ruggero di Sicilia, marito della sorella Beatrice.
Il prof. Tersilio Leggio conferma la correttezza del nome di Rainaldo II, abate cassinese e cardinale, della famiglia dei conti dei Marsi, originario di Collimento ("Collementanus").
Nella serie cronologica degli abati di Montecassino, riportata su “Montecassino, un’abbazia nella storia” di Mariano dell’Omo, 1999, a pag. 297, Rainaldo II è confermato come eletto il 14 novembre 1137 e deceduto nel 1166.
Delle sue iniziative di riforma delle regole abbaziali è data citazione a pag. 159 in connessione con le direttive di papa Innocenzo III (Statuta Casinensia e Ad reformationem vestri monasterii, 1215 settembre 20.)
Collimento si trova nella Marsia, oggi nella provincia dell'Aquila - lungo l'autostrada Roma L'Aquila - zona dove, nel medioevo, i conti dei Marsi, conferma Vicenti Mareri, possedevano vaste proprietà: e dove era nato il loro nome.
I figli di Berardo X Conte dei Marsi furono denominati Conti di Mareri avendo preso il nome (residenza in capite) dal castello di Mareri, piccolo centro abitato esistente nella valle del Salto, nel territorio di Fiamignano.
Così dai Conti dei Marsi vennero i Mareri e i Conti di Rieti.
I legami di parentela con le altre famiglie della nobiltà locale facevano parte del costume, della tradizione e della necessità di preservare e rafforzare patrimoni e peso politico in una zona a cavallo del confine tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie, poi Regno di Napoli. Era normale che i possessi si sviluppassero tra le due realtà politiche, con la conseguenza necessaria del continuo passaggio delle persone e delle merci da una parte all'altra.
La documentazione conserva la lettera n. 201 che San Bernardo di Chiaravalle, il più eminente personaggio dell'ordine cistercense, inviò all'abate del monastero di Rieti, Balduino.
Tersilio Leggio argomenta dall'indirizzo che l'unico "monastero di Rieti" riconoscibile deve essere l'abbazia di S. Salvatore Maggiore, perché il monastero benedettino del San Pastore risulta edificato circa un secolo dopo l’epoca dell’arrivo a Rieti dell’abate Balduino.
Nel suo Momenti della riforma cistercense nella Sabina e nel Reatino tra XII e XIII secolo egli traccia un’analitica sequenza cronologica degli avvenimenti ed esprime un sostanziale giudizio di fallimento della riforma, sia sul campo tecnico, per quanto riguarda l’asserita bonifica della pianura reatina, che sul campo religioso, per quanto riguarda il recupero del rispetto della regola benedettina nelle grandi abbazie di S. Salvatore e di Farfa.
La situazione di degrado morale nel monastero del S. Salvatore, peraltro ricorrente nel corso del secolo precedente, aveva reso necessario a giudizio dell’abate Adenolfo l’inserimento di un gruppo di monaci cistercensi richiesti a S. Bernardo di Chiaravalle allo scopo di ricondurre i rilassati monaci neri benedettini a regole più consone allo stato religioso. Pertanto a S. Salvatore non furono le necessità di ordine tecnico agricolo a far arrivare i cistercensi nel 1138 o nel 1140.
Gli stessi cistercensi non ebbero molta fortuna;, persero credibilità e furono costretti ad andarsene quasi subito con l’abate Balduino.
Partito il gruppo di Balduino, Adenolfo non si acquietò ma chiese un altro gruppo di monaci bianchi che arrivarono guidati dall’abate Bernardo Paganelli (poi eletto papa con il nome di Eugenio III, 1145 – 1153). Questo nuovo gruppo rimase a S.Salvatore un anno o al massimo due e alla fine gettò la spugna anche perché furono compromessi dalla fuga dal convento per non chiari motivi di un confratello.
Non è noto se decisero di abbandonare la partita nonostante l’incarico ricevuto perché non furono accettati dalla comunità dei locali benedettini o da altre ragioni. L’abate Bernardo scrisse al suo San Bernardo per descrivere le difficoltà incontrate e gli ostacoli insorti a causa del mancato sostegno del papa e del fatto di non essere stato riconfermato nonostante le irruenti promesse di Adenolfo.
Il gruppo dei cistercensi fu richiamato a Roma e assegnato all’abbazia delle Tre Fontane.
Evidentemente il gruppo dei monaci di Balduino non tornarono alla casa madre ma si fermarono nella piana reatina, se possiamo dare un senso alla sepoltura di Balduino nella chiesa di S.Matteo.
Qui cominciarono ad occuparsi della bonifica di paludi e acquitrini, che era il loro mestiere e per il quale erano noti e apprezzati.
Anche questo impegno venne abbandonato. Morto l’abate Balduino, i monaci si sono scoraggiati e si sono depressi. Vogliono lasciare la zona malsana e traslocare in aree meno difficili.
Nella realtà il loro lavoro non dovette essere andato tanto male se il Comune di Rieti, valutando positivamente il complesso della situazione nella pianura reatina, nel 1205 decide di donare le sue proprietà intorno al monastero di S.Matteo per farle recuperare all’agricoltura. Questo evento rincuora i monaci e risolleva il loro morale.
Il prof. Leggio sorvola sul fatto che prima del 1205 il monastero di San Matteo, esistente nel 1045-1046 era in uso (Cfr. Monasticon Italiae pag. 138 che richiama Regesto Farfense IV, 201 n. 795).
D’altra parte la sepoltura a San Matteo di Balduino non può essere avvenuta nel 1205 da parte dei monaci del gruppo del magister Balluinum, in seguito affluiti nell’ordine cistercense.
Dovendo la sepoltura essere avvenuta prima del 1205 a cura dei suoi monaci, occorre ammettere che S. Matteo esisteva già e il gruppetto sbandato di cistercensi che dovette essersi raccolto intorno al magister Balduinum e che questa presenza in qualche modo abbia influito a far decidere i responsabili del comune di Rieti a fargli dono delle terre da bonificare.
Il monastero di S. Matteo al lago, sul Montecchio Cervariolo o presso l’isola, era in posizione coerente con i principi dell’ordine cistercense e ospitò certamente un gruppo di monaci da epoca imprecisata, dopo il 1140 secondo alcuni, per circa cento anni.
L’edificio divenne tanto inospitale che andò in rovina e la sua localizzazione sarebbe ricordata da una chiesetta eretta dai marchesi Canali nel 1626 in onore della Natività di Maria, secondo Luca Baruzzi, il cui studio su SAN BALDUINO, IL GRANDE SCONOSCIUTO ABATE DI SAN MATTEO AL LAGO, PRIMO ORGANIZZATORE DELLA BONIFICA NELLA PIANA REATINA, è pubblicato in appendice al saggio di mons. Giovanni Maceroni SAN FRANCESCO NELLA CIVILTA’ MEDIOEVALE atti del convegno di studi a Borgorose dic. 1982 ed. Il Velino1983.
Nella medesima località sarebbero ubicate le “terre berardesche” cioè le proprietà della famiglia dei conti di Rieti, di Berardo X, parente di Balduino.
Il patrimonio fondiario del monastero era costituito in origine da acquitrini e paludi ma le capacità dei monaci, per questo andavano giustamente famosi, era tale da recuperare alla coltivazione agricola e da rendere produttivi e fertili proprio tali terreni e la piana reatina era una palestra eccellente per rendere evidenti i risultati di quella fama.
Nello studio elaborato dal Duprè Theseider, “L’Abbazia di S.Pastore” pubblicato nel 1919, è citata (pag. 46 ) una chiesa di S.Pastore come esistente nell’anno 794, quando in un documento (n. 160) riportato nel Regesto di Farfa, fu pattuito un cambio di beni tra Mauroaldo, abate di Farfa, e Usualdo abate di S.Salvatore Maggiore, avente per oggetto portionem de aecclesia sancti Pastoris in Quinto quantum nobis ibidem pertinet in ipsa aecclesia santi Pastoris portionem de Gualefrido et Tanfrida, sive altarium muros fondamenta aecclesiae et in ipsa curte casa vineas prata terras arabiles, et cultum vel incultum, et arbores, et in quantum ibidem suptus viam salariam usque in rivum.
Va evidenziata l’estensione dei territori oggetto del patto che si estendono da Quinto, alla via Salaria e al fiume (Turano). I beni oggetti del contratto sono case, vigne, prati, terre arabili, luoghi coltivati e altri incolti e luoghi alberati.
La denominazione in Quinto, per il Duprè ricorda l’antico nome della vicina Contigliano Quintilianum dove in antico poteva esistere un qualche antico fondo della gente Quintilia, o anche la distanza da Rieti in miglia romane.
Il Duprè ricorda che della Chiesa di S. Pastore è cenno nel 945 fra gli “oratoria quae monasteria dicuntur “ tra i documenti del ACR arm. IV fasc. K n. 2 e nelle bolle di Anastasio IV e di Lucio III con l’aggiunta in Alatro. Sottolinea che nella zona è nota l’esistenza di una Rocca Alatri, ma non esiste traccia dei passaggi di proprietà ai benedettini di Stroncone.
In conclusione, sembra sostenibile che, all’epoca in cui era in vita l’abate Balduino, esisteva più o meno nella stessa area geografica sia il monastero di S. Matteo nella piana di Rieti, nella zona chiamata MONTICOLO o Monticulum, che la chiesa di S.Pastore, proprietà dell’abbazia benedettina di S. Salvatore Maggiore, ceduta da Farfa, nel territorio di Contigliano.
La considerazione pubblica per i cistercensi fu tale da far ritenere l’abate Balduino un uomo santo, di grandi virtù pastorali e di particolari capacità umane e religiose e i monaci efficaci operatori a vantaggio del pubblico bene. La lettera di S. Bernardo è tesa a sostenerlo per superare la titubanza, ad incoraggiarlo a spazzare gli scrupoli e a spingerlo per impegnarsi nel realizzare al meglio il compito di rettore dell’abbazia e di organizzatore del lavoro dei monaci con la pazienza, la perseveranza e l’esempio. E lo stimolo ha raggiunto il risultato voluto.
Dal tono della lettera il Duprè deduce che Balduino era in giovane età, perché non era logico che l’incarico fosse affidato a un uomo anziano. Tuttavia le immagini di Balduino effigiano un vecchio con lunga barba bianca.
I cistercensi furono molto stimati anche dai governanti del comune di Rieti, che spesso li chiamavano per consigliare e partecipare alle decisioni della comunità.
I risultati del loro lavoro nella bonifica ne esaltarono il ruolo e la funzione di sostegno e di guida per gli abitanti della piana reatina.
La naturale conclusione fu l’apprezzamento dei cittadini e dei lavoratori per l’abate la fama di santità nella religione ma solo a livello locale, perché l’ordine cistercense quasi lo ignora ancora oggi come nel passato.
In sostanza la santità di Balduino è fondata sugli effetti della bonifica della piana reatina, sull’aumento dei terreni utili per il Capitolo della Cattedrale e sull’aumento delle risorse economiche ed alimentari per il Comune di Rieti.
L’assenza di notizie e di documentazioni relative alla vicenda religiosa portano a ritenere che Balduino sia diventato santo per meriti agricoli e per le grandi capacità dimostrate nel campo del genio rurale.
Nel 1205 il Comune di Rieti stipulò un patto con un “mastro Balduino” e con il suo gruppo di monaci, probabilmente un piccolo ordine locale, successivamente confluito nella famiglia dei cistercensi che era assurto ad un livello di ben altra considerazione.
Venne loro donata tutta l’area costituita da paludi e acquitrini di proprietà comunale intorno a S. Matteo per la bonifica e lo sfruttamento agricolo e il Balduino, omonimo del nostro abate, si impegna a costruire una nuova casa abbaziale e a portare a compimento l’opera progettata.
Non risulta scritto nel documento stipulato, ma, tranne il prof. Leggio, tutti pensano, forse alla luce delle informazioni sui fatti succeduti in seguito, che si tratti di monaci cistercensi.
Tuttavia è certo che l’abbazia di S. Matteo entra a far parte dell’ordine cistercense nel 1218 come filiazione dell’abbazia abruzzese di S. Maria di Casanova.
La data di incorporazione di un’abbazia nell’ordine cistercense era particolarmente rilevante perché serviva a stabilire l’ordine di precedenza degli abati nelle periodiche assemblee dell’ordine e pertanto era oggetto di accurate precisazioni.
L’entrate sulla scena della storia del magister Balluinum ha sollevato un polverone di confusione con l’omonimo abate discepolo di S.Bernardo e a causa dell’assorbimento del suo gruppo di monaci nell’ordine cistercense.
Il maestro Balduino non riuscì a prendere possesso dei beni donatigli dal comune di Rieti fino al 1209, quando il podestà Matheus Siniballi Dodonis confermò con un nuovo atto la donazione, controversa ed ostacolata dal Capitolo e dalla Curia reatina nonché dalla consorteria dei nobili di Labro proprietari di buona parte dei terreni paludosi ma non improduttivi.
A causa della insalubrità del luogo dove il monastero era edificato, i cistercensi di S. Matteo, utilizzato comunque almeno fino al 1244, dopo una serie di complicati passaggi e di patti economici, si dedicarono tra il 1255 e il 1264 alla costruzione del nuovo edificio abbaziale con l’uso anche di strutture donate dai monaci di S. Benedetto in Formis o "de Fundis" di Stroncone diocesi di Narni.
Vi si trasferirono dopo il 1264.
Né a S. Matteo ma neanche a S.Pastore sono state raccolte, da parte degli studiosi che si sono interessati a questi edifici nei tempi passati, tracce di S. Balduino, mentre sono segnalate a S.Pastore immagini antiche di santi come Bartolomeo, Giovanni Battista, Giuliano, Giacomo, la Madonna. Vi sono stati rilevati gli stemmi araldici di alcuni cardinali commendatari come i Riario, gli Spinola, i Della Rovere, gli Astalli.
Per valutare opportunamente i dati disponibili, riassumiamo la situazione:
- Abbiamo una statua di S.Balduino posta su un altare nella chiesa abbaziale di S.Salvatore Maggiore in epoca successiva alla ricostruzione della chiesa (1506) e probabilmente murata al momento della modifica della costruzione che eliminò le navate laterali e le trasformò in cappelle (circa un secolo dopo?).
- Di questa operazione si è completamente perduta la memoria in epoca antica, tanto che nessuno di quanti ebbero ad occuparsi del complesso abbaziale se ne è accorto, ha saputo qualcosa e ne ha fatto menzione ( De Santis, Schuster, Palmegiani, ecc.).
- L’abate Balduino muore in data non nota e viene sepolto a S. Matteo, dove il suo corpo è ricercato in forma solenne e ufficiale, ritrovato e trasportato nella Cattedrale di Rieti dal vescovo card. Mario Colonna nel 1493. Nell’Archivio di Stato di Rieti è conservato l’atto redatto dal notaio Antonio di Mando Pucciaritti.
- A Rieti, per iniziativa del vescovo, è riconosciuto come una delle colonne della diocesi reatina, gli è dedicata nei due secoli successivi una serie di iniziative onorarie e celebrative: immagine di Vincenzo Manenti, sabinus pictor, nel salone di rappresentanza della curia vescovile, affresco di Antonazzo Romano in Cattedrale, busto reliquiario in argento di Cola di Amatrice nel XVI secolo, festa religiosa con data dedicata (25 luglio), richiesta alla Congregazione dei Riti per il riconoscimento della santità dell’abate Balduino.
- È ampiamente noto che tra la diocesi di Rieti e l’abbazia di S. Salvatore non correva buon sangue tra l’altro anche perché questa ultima aveva ripetutamente e vittoriosamente respinto i tentativi di assoggettamento all’autorità vescovile, pertanto sembra improponibile un atto di piaggeria dei monaci di S. Salvatore, che erigono su un altare delle loro chiesa una statua di Balduino per compiacere il vescovo di Rieti. Della sua presenza a S. Salvatore il benedettino cardinale Schuster non ha raccolto tracce negli archivi di Farfa e di S. Paolo, né altrove. Piuttosto potrebbe pensarsi a una rivendicazione perché S.Pastore era stata abbazia benedettina di proprietà di S. Salvatore e nel contempo si muoveva, da parte dell’abate di S.Pastore in carica, una richiesta ufficiale per la restituzione delle reliquie di Balduino. La richiesta fu respinta e a quel punto la statua fu murata.
- Di S. Balduino è ignoto quasi tutto, o meglio, per quanto lo riguarda si sono perdute tutte le tracce relative alla sua attività pastorale, ai suoi meriti religiosi. Nessuno ha registrato alcunchè sugli asseriti miracoli. Non esistono epigrafi che alle sue iniziative di guida della comunità cistercense e non si hanno notizie anagrafiche certe ed esaurienti, ma solo tradizioni incerte e non documentate.
- Nell’area dove sorgeva il monastero di S.Matteo e in quella dell’abbazia di S.Pastore non risultano particolari memorie della vita e della presenza dell’abate Balduino. La sua fama di santità non sembra essersi radicata nella pietà e nel culto popolare locale (Contigliano, Greccio). E’ rimasto solo un piccolo rilievo della pianura con il nome di Colle S. Balduino riportato sulle carte dell’IGM.
- Quando il comune di Rieti, con un atto del maggio 1205 dona a magistro Balluino e al suo gruppo di religiosi, con lui dimoranti, la chiesa di S. Matteo, la parte di terreni e le acque con la palude di proprietà comunale esistenti intorno al monastero di S.Matteo di Montecchio (in monticolo Cervariolo), si propone di ottenere una bonifica della zona paludosa e acquitrinosa al fine di disporre di maggiori risorse economiche e più consistenti derrate agricole per i cittadini.
- In un primo tempo la curia vescovile non era favorevole all’insediamento dei cistercensi nella pianura reatina, perché la bonifica progettata avrebbe limitato le rendite che la curia ricavava dalla pesca di pesci e gamberi nei laghetti di proprietà diocesana e altre lunghe liti a lungo contrapposero i cistercensi ai vescovi reatini per diritti di pascolo e altro.
Va posto l’accento che all’epoca della iniziativa del vescovo card. Mario Colonna, 1493, esistevano ancora e non erano ancora disperse le carte degli archivi di S. Matteo, di S. Pastore, di S. Salvatore e della Curia di Rieti, ma evidentemente non esistevano le persone interessate oppure non furono neanche cercate.
A rafforzare questa ipotesi appare utile quanto si legge su I LUOGHI DELLA MEMORIA SCRITTA ed. Ist. Poligrafico dello Stato 1994, pag. 295, dove Agostino Paravicini Baggiani scrive a proposito delle biblioteche cardinalizie (secc. XIII – XV) e riferisce che il card. Francesco Orsini (1295 – 1312 ) arricchisce la biblioteca del monastero di San Salvatore Maggiore di Rieti di tutti i suoi libri ad eccezione di quelli giuridici che destina alla basilica romana di S. Maria Maggiore.
In conclusione, l’operazione che ha portato alla ricerca delle reliquie dell’abate e la grandiosa serie di iniziative per magnificarne l’opera e i risultati, le celebrazioni della figura religiosa, le immagini affrescate e i busti d’argento hanno il sapore di un’enorme azione di propaganda, espletata senza preoccuparsi di cercare e conservare i documenti e le prove relative alla persona e alle sue virtù eroiche.
La presenza dei cistercensi a S. Salvatore e poi in Sabina, per il prof. Leggio, è da ritenere effetto del progetto dell’abate Adenolfo di S. Salvatore Maggiore, risultato dell’obiettivo di potenziamento delle strutture cistercensi, all’epoca al vertice dell’amministrazione della curia di Roma. A torto o a ragione le capacità morali e politiche di S. Bernardo di Chiaravalle reggevano tutta la Chiesa e sostenevano un papa vacillante politicamente oltre che non molto saldo nell’organizzazione degli ordini religiosi.
L’abate Adenolfo dallo Schuster è dato abate di S. Salvatore dal 1124, mentre Leggio lo ritiene già in quella carica nel 1121, quando si doveva recare al seguito del papa Calisto II a Farfa, allo scopo di prendere possesso della carica di quella abbazia.
A Farfa Adenolfo non arrivò perché bloccato dal padre, Rainaldo di Sinibaldo, rettore di Sabina e sostenitore dell’imperatore Enrico V.
Il papa Callisto II nel 1122 poté concordare con Enrico V le regole per nominare i vescovi in Italia senza interferenze imperiali e il CONCORDATO DI WORMS poté finalmente sciogliere un importante nodo politico nei rapporti tra le due autorità.
Il papa Callisto voleva che Adenolfo prendesse anche l’incarico di abate di Farfa per sostituire l’abate Guido III filoimperiale, ma non riuscì nel suo obiettivo e morì nel 1124.
Il nuovo papa Innocenzo II aveva le sue gatte a pelare a causa dello scisma che l’elezione dell’antipapa Anacleto II gli aveva tirato addosso e pertanto l’effettivo insediamento a Farfa di Adenolfo andò per le lunghe, dopo che un’elezione lo aveva scelto nel 1125.
Neanche questa fu la volta buona e Adenolfo lasciò Farfa sia nel 1130 scomunicato dall’antipapa Anacleto II e ancora nel 1133, quando seguì Innocenzo II, il quale per poter stare a Roma aveva necessità dei soldati di Lotario III e, quando questi andavano appresso all’imperatore anche il papa faceva i bagagli, insieme con i prelati suoi sostenitori.
Il pensiero di Adenolfo in questi giri era ai suoi monaci di S. Salvatore e si preoccupava di far loro avere guide adeguate in veste di monaci cistercensi.
Ma si potrebbe anche pensare ad un disegno più di carattere politico di controllo del territorio sabino da affidare ai cistercensi come avveniva già per il territorio del Lazio meridionale.
Le sorprese ancora riservate dall’abbazia di S. Salvatore, in corso di recupero, non si esauriscono con la statua di Balduino.
Il restauro ha messo in luce un bassorilievo che effigia una mano. Il lavoro è in pietra calcarea e misura circa cm. 35 di base per 25 di altezza ed è murato nel paramento esterno del fabbricato. Il reperto è unico nel suo genere, privo di qualunque riferimento.
Potrebbe trattarsi di un oggetto di uso religioso, un oggetto votivo, come se qualcuno in passato possa aver ricevuto una grazia di guarigione dell’arto e abbia voluto ricordarlo.
Mancando o essendo perduto ogni riferimento, ma soprattutto essendo diverso dagli altri ex-voto noti, in genere riproduzioni a tutto tondo dell’arto o quadretti di ben noto stile, l’ipotesi cade da sola.
Si ritiene opportuno riportare una notizia registrata da Gregorovius, scrittore ritenuto fazioso da Vincenti Mareri, nella sua STORIA DI ROMA NEL MEDIOEVO ed. Newton 1988, vol. II pag. 287, “ Un altro arco di trionfo esisteva nella zona di S. Marco, citata nel Medioevo. Era chiamata <della mano di carne>, arcus Manus Carneae, e sorgeva all’entrata dell’odierna via Macel de’ Corvi (Mercato dei Corvi), nome che, con o senza ragione si considera una storpiatura di manus carnea. Probabilmente si trattava dell’insegna di una coorte, per l’appunto una mano; la leggenda raccontava che era la mano del carnefice pietrificato dopo aver decapitato, ai tempi di Diocleziano, la pia Lucina”
L’epigrafia restituisce memoria di incisioni in bassorilievo su stele e monumenti di mani dedicatorie da parte di manipoli militari al benemerito comandante. A Roma né il Museo Nazionale Romano, né il Museo della Civiltà Romana sembrano custodire reperti con tale iconografia.
Ancora notevole interesse rivestono due fasce di affreschi decorativi emersi in una posizione del tutto anomala in relazione alla attuale situazione edilizia del fabbricato.
Gli affreschi ornamentali riproducono girali e tralci fioriti multicolori, da un lato su una parete dove appare una finestrella murata che affaccia sul transetto della chiesa abbaziale e dall’altro lato su un’altra parete che corrisponde al refettorio.
Le due pareti sono nettamente tagliate dalla cupola di copertura di un ambiente di completamento al refettorio del monastero.
La cupola costolata evidenzia l’architettura gotica tipica delle coperture medioevali e potrebbe essere l’eredità di interventi di integrazione costruttiva dell’XI – XII secolo.
Le fasce affrescate sulle pareti che si fronteggiano che risultano tagliate dall’impostazione della cupola, oggi restaurata con un moderno telaio di rinforzo e sostegno simile ad un ombrello, ricordano le decorazioni delle domus romane del tardo impero e potrebbero costituire l’eredità della domus rustica del console Sesto Tadio Paullino.
Altro prezioso reperto è costituito dall’epigrafe onoraria di Sesto Tadio Paullino, a proposito della quale chi scrive ha tradotto un interessantissimo lavoro di un noto studioso, Bernard Remy.
Infine, allo stato attuale dei lavori di restauro è visibile sulla parete del refettorio una scritta in caratteri medioevali con la dicitura “ABLUTIONES” che i paleografi certamente gradiranno esaminare meglio.
Giuseppe Chisari
Bibliografia
- Archivio della Cattedrale di Rieti - ACR,
- Arm. IV Fasc. K n.2;
- Arm. IV fasc. Q, n. 11 (atto di donazione da parte del Comune di Rieti a Balduino maggio 1205, copia per la pubblicazione del 24 agosto 1244);
- bolla di Anastasio IV;
- bolla di Lucio III;
- Baruzzi, Luca,
- San Balduino, il grande sconosciuto abate di S. Matteo al lago, primo organizzatore della bonifica della piana reatina, appendice al saggio di mons. G. Maceroni "San Francesco nella civiltà medioevale" atti del convegno di studi Borgorose 1982 a cura di G. Maceroni, ed. il Velino 1983;
- Biblioteheca Sanctorum, ed. Istituto Giovanni XXIII presso Pontificia Università Lateranense;
- Duprè Theseider, Eugenio, "L'abbazia di S. Pastore", 1919 Rieti;
- Gastaldelli, Ferruccio, a cura, " Opere di S. Bernardo" epistola CCI, pag. 870;
- Gregorio, da Catino, "Regesto Farfense" a cura di Ugo Balzani ed. Ist. Storia Patria 1906;
- Gregorovius, "Storia di Roma nel medioevo" ed. Newton 1988, voll. 6;
- Leggio, Tersilio, "Momenti della riforma cistercense nella Sabina e nel Reatino fra XII e XIII secolo", Rivista storica del Lazio n. 1 pag. 18;
- Mandi de Pucciarittis, Antonio, atti del notaio, Archivio di Stato di Rieti;
- Monasticon Italiae, voce: Contigliano;
- Palmegiani, Francesco, "Rieti e la regione sabina" rist. anast. Amm. prov. Rieti 1988;
- Parravicini Baggiani, Agostino, "I luoghi della memoria scritta" ed. Ist. Poligrafico dello Stato 1994;
- Remy, Bernard, "La carriera di Sesto Tadio Lusio Nepote Paullino" Zeitschrift fur Papyrologie und Epigraphik, in "Scritti in ricordo di Hans George Pflaum" , Bonn 1981;
- Tofani, Bernardino, "Longone di S. Salvatore Maggiore nel gastaldato di Rieti e nella Massa Torana" ed. Comunità Montana del Turano 1988;
- Vincenti Mareri, Giovanni, "Una discendenza e il suo millennio di storia" inedito dattiloscritto in Biblioteca Comunale Paroniana Rieti.