8. La lingua

Per quanto riguarda la lingua che si parlava in Inessa e in Aitna, gli studi finora sviluppati evidenziano alcuni segnali. Sono riportati su alcuni saggi, ovviamente nei termini più generali della lingua dei sicani e della lingua dei siculi e sono pubblicati sul primo volume della “Storia della Sicilia” ed. del Sole 1979. Si tratta di lavori di specialisti firmati da Riccardo Ambrosini, Giuseppe Voza, Lorenzo Braccesi, David Asheri, introdotti da Rosario Romeo. Altri lavori sono firmati da Roland Martin, Paola Pelagatti e da altri importanti studiosi.

Per quanto riguarda la lingua, premesso che i segnali sono molto labili e su questi gli esperti si accapigliano facendo leva, per sostenere le proprie tesi, sugli elementi più specialistici e sugli argomenti più particolari, è in ogni caso possibile sintetizzare qualche concetto a livello generico e con riferimento ai reperti archeologici visibili nei musei.

Un’ovvietà di principio farebbe affermare che un gruppo di sicani si dovrebbe esprimere in lingua sicana, un gruppo di siculi si dovrebbe esprimere in lingua sicula e un gruppo di greci si dovrebbe esprimere in lingua greca.

Il problema sorge quando, i segni che si sono trovati, tracciati su vasi, su piatti, su lastre di calcare e di basalto, e su monete, in realtà sono tutti segni dell’alfabeto greco e tutti ritenuti prodotti tra il VI e il V secolo a. C. 
Si pensa che si tratti di testi non greci perché non sono traducibili con il vocabolario greco. 

Prima di tutto si è osservato che il corso degli scritti si sviluppa quasi sempre da destra verso sinistra (oggi noi leggiamo e scriviamo da sinistra verso destra), poi che sono privi di separazione tra le parole e di segni di interpunzione che permettano di identificare le diverse frasi. Ancora, alcuni dei termini utilizzati non fanno parte del lessico greco, infine, il senso del contenuto, che è interpretato, più che tradotto, sarebbe il risultato di una parlata che era intesa, da chi scriveva, facendo più affidamento al senso del discorso che ai significati letterali dei termini. 
Infine, gli specialisti riconoscono le somiglianze tra i termini di alcuni di tali documenti epigrafici con i termini di altre lingue, usati in altri luoghi. Sono riconosciute le parti di parole che si ritrovano nella lingua osca, nella lingua illirica, nelle lingue indo- europee della penisola balcanica e del latino antico. 

Si sono riconosciuti i nomi che erano in uso ai gruppi locali, sicani e siculi, si riconoscono parti di parole riconducibili a linguaggi di altri popoli.

Prima dell’arrivo dei greci in Sicilia, sicani e siculi, che parlavano un loro linguaggio, questo è certo, non sapevano scrivere, non usavano lasciare tracce scritte di quanto avveniva e i fatti avvenuti in precedenza erano tramandati oralmente, affidati alla memoria di chi ascoltava.

Perché si è in grado di affermare che sicani e siculi avevano una loro lingua. 
La ragione sulla quale si fonda l’affermazione è essenzialmente costituita dalla constatazione che il greco utilizzato per lasciare traccia scritta di un evento dei sicani e dei siculi è diverso da quello utilizzato dai greci che vivevano in Sicilia per registrare i fatti delle loro comunità.

Tra il materiale fin qui raccolto dagli archeologi, un testo rinvenuto negli scavi di una località nei pressi di Montagna di Marzo, nel territorio di Gela, è ritenuto in lingua sicana.