Vediamo ora come si progetta un impianto di riscaldamento, sia come dimensionamento che dal punto di vista economico. Preciso subito che esistono due diverse "tecniche": quella "fatta bene" e quella "a spanne". Nella prima parte vediamo la progettazione "fatta bene"; però, se l'impianto è semplice, non c'è niente di male ad impiegare la seconda, poiché in caso contrario i costi della sola progettazione potrebbero diventare paragonabili con l'intero impianto!
La progettazione più corretta che si possa fare è suddivisa nelle seguenti fasi:
Valutazione della dispersione dell'edificio/appartamento |
Questa fase tende semplicemente a stabilire, per ogni stanza, la potenza necessaria al mantenimento della temperatura stabilita, quando all’esterno si verificano le condizioni climatiche più severe. |
Valutazione delle modalità d'uso del riscaldamento |
Il valore teorico della prima fase viene aggiustato con considerazioni sul rendimento, sulle perdite dell’impianto, sull’uso intermittente, sugli apporti di calore “gratuiti” (es. esposizione al sole). Solo qui comincia a mostrarsi la differenza tra i vari sistemi di riscaldamento. |
Comparazione e valutazione economica |
Si compara la convenienza economica di ogni sistema di riscaldamento considerato (pompa di calore, caldaia a metano, ...). La valutazione si basa sul consumo annuo e sul costo d’acquisto. Si sceglie l’impianto globalmente più economico. |
Dimensionamento |
Si finalizza la progettazione dimensionando gli elementi necessari al riscaldamento di ogni singola stanza: dimensioni dei tubi, dei radiatori o dei ventilconvettori, della caldaia o batteria, ecc. ecc. |
Il progetto dell'impianto di riscaldamento non è né un divertimento né un'opzione: la legge 10/91 infatti lo rende obbligatorio come parte integrante del progetto complessivo di tutti i nuovi edifici, ed in caso di sostituzione dell'impianto (anche individuale!) per quelli esistenti. Ovviamente in questi casi può redarlo solo un professionista abilitato. La legge inoltre vincola il "Fabbisogno Energetico Normalizzato" (FEN) dei nuovi edifici, in modo che non si debba spendere troppo combustibile per riscaldarli, e fissa i rendimenti minimi per gli apparecchi impiegati. È anche giusto; se gli edifici sono grossi, si tratta di decine o centinaia di milioni risparmiati, a tutto vantaggio dell'acquirente e dell'ambiente (cioè di tutti noi!). Tenete presente comunque che per ora l'obbligo di progetto c'è solo per il riscaldamento, non per il condizionamento. Inoltre i metodi di calcolo per questi due sono leggermente diversi, come vedremo.
Per poter acquistare il giusto impianto di riscaldamento, occorre (ovviamente) valutare quanto calore dovrà consumare. Vi sono diversi metodi per farlo; il metodo ottimo (che incidentalmente è quello da impiegarsi in Italia nel caso di obbligo di progetto) è quello descritto dalle norme UNI (ve ne sono svariate sull'argomento). Il calcolo non è particolarmente complesso, ma è lungo perché prende in considerazione una lunghissima serie di dati, quali:
Con questi parametri, ed (un bel po' di) calcoli, che non ho minimamente intenzione di descrivere qui perché ci vorrebbero pagine e pagine di tabelle, si arriva ad una misura della dispersione delle singole stanze e dell'intera abitazione. Conoscendo la dispersione è semplicissimo sapere, con sufficiente precisione, quanta energia (calore) bisogna immettere in ogni stanza per mantenere una determinata differenza di temperatura tra interno ed esterno.
Se infatti fissiamo la temperatura interna a 20°, e quella esterna alla minima che ci aspettiamo, ragionevolmente, si possa verificare durante l'inverno (anche questa è indicata, comune per comune, nelle norme UNI - il cosiddetto "valore di temperatura di progetto"), possiamo sapere con una certa precisione il calore che ci dovrà fornire il nostro impianto. Se, ad esempio, il nostro calcolo ci fornisce per la nostra abitazione una dispersione pari a 0,44 kW/°C ciò vuol dire che, quando fuori ci sono 5°, per mantenere internamente la temperatura di 20° occorre una potenza di 0,44*(20-5)=6,6 kW; dovremo quindi installare una caldaia con una potenza resa maggiore di questa, oppure una pompa di calore che renda questa energia.
Il solito DPR 412/93 fissa anche un valore limite massimo per il coefficiente di dispersione, ossia la dispersione per ogni metro cubo da riscaldare, per le case di nuova costruzione (il Cd lim.).
Che cosa si usa per fare questi conti? Come già detto, bisogna avere in mano le norme UNI (si comprano anche su Internet, presso il sito del CEI; ma comprare tutte quelle necessarie è tutt’altro che economico; sicuramente non vale la pena farlo per un solo impianto), una planimetria dell'edificio, un foglio di calcolo e tanta, tanta pazienza per misurare ogni stanza, ogni spigolo della muratura, ogni dimensione degli infissi, ogni spessore e materiale di ogni strato componente ogni muro, pavimento e soffitto...
Volendo semplificarsi la vita si può adottare un programma apposta per questo. Ve ne sono diversi prodotti negli Stati Uniti, sia gratuiti (ma per DOS) che a pagamento, ma ovviamente non valgono per redigere un progetto "ufficiale" perché non seguono la metodologia UNI; oppure si può prendere un buon programma a pagamento italiano, comprensibile e perfettamente a norma, ma le norme UNI le dovete sempre avere, altrimenti probabilmente non ci capirete nulla... Suggerisco il sito della Kadmos, cha fa programmi semplici ed efficaci, ma ci sono svariati produttori italiani.
La prima fase ci dà il fabbisogno dell'abitazione se teniamo il riscaldamento perennemente acceso. Se però, come capita sempre, il riscaldamento è in funzione solo in certe ore del giorno, la capacità necessaria è leggermente diversa: prima di tutto dobbiamo avere una riserva di potenza perché la temperatura ottimale venga raggiunta in un tempo ragionevole, e poi le esigenze cambieranno a seconda se il riscaldamento viene acceso solo di notte (quando fa più freddo) piuttosto che di giorno (quando fa più caldo e c'è anche l'azione del sole). Tutto questo altera leggermente sia la potenza richiesta all'impianto, sia il suo costo di gestione. Per seguire sempre la metodologia UNI, dobbiamo valutare:
Il tutto sembra di difficile valutazione; ma in realtà gran parte dei valori da adottare sono forniti belli e pronti nelle tabelle delle norme; e comunque si tratta di aggiustamenti di pochi punti percentuali.
Con tutti questi dati possiamo calcolare, con una discreta precisione, il fabbisogno di calore per riscaldarci per un intero inverno; sapendo il costo di ogni kilowatt sotto forma di elettricità o di metano (lo abbiamo fatto all'inizio...), possiamo arrivare infine al parametro più importante di tutti: quanto ci costa scaldarci per tutta la stagione fredda.
Per valutare meglio il comfort possiamo anche tracciare un grafico della temperatura raggiunta in casa durante i periodi di spegnimento giornaliero del riscaldamento.
Anche qui, per gli edifici di nuova costruzione, il solito DPR 412/93 fissa un valore limite per l'energia spesa per il riscaldamento invernale dell'edificio: il cosiddetto FEN (Fabbisogno Energetico Normalizzato), che viene calcolato in Joule/mc al giorno: in pratica è l'energia spesa in media ogni giorno per riscaldare un metro cubo di edificio. Ormai sappiamo perfettamente come trasformare questo dato in calorie, e quindi in kW di elettricità o metri cubi di gas, e quindi in lire, sapendo che il numero di giorni di riscaldamento in un inverno è fissato per legge (indovinate quale? Bravi: la 412/93!)
Cosa si usa per questa seconda fase? Se state usando il foglio di calcolo continuate ad usarlo, altrimenti di solito il programma che avete usato per la prima fase sarà in grado di fare i calcoli necessari anche per questa.
Se ripetiamo il calcolo della fase due per i diversi sistemi di riscaldamento che pensiamo di adottare, possiamo finalmente valutare quale sia quello che ci fa risparmiare di più.
Attenzione però; abbiamo due costi da considerare: un costo di installazione (il costo di acquisto dell'impianto) ed un costo d'esercizio (quello che spenderemo ogni anno per usarlo). Il costo d'acquisto lo troviamo nei listini; il costo d'esercizio non comprende solo il "carburante" per far andare l'impianto (sia esso metano, gasolio o elettricità), ma anche quello della manutenzione periodica, delle riparazioni, ecc.; la cifra quindi è valutabile solo con una certa approssimazione. E, come sempre capita, gli impianti che hanno un costo d'esercizio più basso hanno anche un costo d'acquisto più alto.
Il DPR 412/93 dice che - per quanto riguarda la pubblica amministrazione - bisogna scegliere l'impianto che risulti più conveniente dopo cinque anni. È una valutazione ragionevole. Attenzione però: non confondete questi cinque anni con la "durata attesa" dell'impianto, che è molto più lunga; si tratta insomma di una valutazione finanziaria e non tecnica. È interessante notare che, solo nel caso di impianto a pompa di calore in edifici di cubatura superiore a 10.000 metri cubi, il limite è elevato a otto anni (dieci nei centri storici, vista l'importanza del problema dell'impatto ambientale).
Un privato può anche adottare come base di calcolo un periodo più lungo; e qui si aprirebbe un complesso discorso finanziario. Se vogliamo essere precisi, infatti, dovremmo considerare che, quello che risparmiamo all'atto dell'installazione dell'impianto, potremmo investirlo in qualche modo per produrre soldi che abbassino il costo d'esercizio dell'impianto stesso; ma è anche vero che il rendimento sul lungo periodo di un investimento è valutabile solo con una certa approssimazione... insomma, oltre ad essere ingegneri dovremmo essere maghi della finanza, per fare questo riscaldamento! Per cui, in base ai vostri gusti, valutate per un periodo tra cinque ed otto anni, e questo va più che bene.
Come si fa a fare questa valutazione? Anche qui, pur essendo perfettamente adatto il solito foglio di calcolo, le cose vengono semplificate usando un programma apposito. Il DOE (Department of Energy) statunitense, l'equivalente del nostro Ministero dell'Ambiente, distribuisce un programma gratuito che permette di fare da se questo calcolo, stilando una "classifica" di convenienza dei vari tipi d'impianto a partire dalla dispersione della casa da riscaldare e dalla zona in cui si vive; questo perché ogni americano che risparmia sul riscaldamento fa anche bene all'ambiente... (en passant, c'è qualcuno "là dove si puote" che può prendere spunto???).
Il programma del DOE è prelevabile dal sito www.eren.doe.gov, ma se non si hanno i dati climatici del luogo dell'installazione, e non si sa come tradurli nella forma voluta dal programma, il suo uso è quasi impossibile.
Abbiamo calcolato la capacità ed il tipo d'impianto più adatti a farci stare caldi ed a risparmiare; ora non ci resta che andarlo a comprare. Per fare la "lista della spesa" abbiamo ancora bisogno di calcolare poche cose che dipendono dal tipo d'impianto scelto. Vediamole:
Impianto a caldaia e termosifoni: se avessimo valutato che questo è il sistema di riscaldamento più economico, dobbiamo calcolare il numero di radiatori - uno per ogni stanza e la loro dimensione (cioè il numero di elementi da unire per comporli - ognuno ha una precisa potenza resa), la lunghezza dei tubi di raccordo, ed un piccolo surplus di energia che va dispersa nelle tubazioni
Pompa di calore canalizzata: dobbiamo calcolare le dimensione di bocchette d'aerazione in funzione del calore da fornire a ciascun locale. Inoltre dobbiamo calcolare le dimensioni delle tubazioni che portano aria, sempre in base alla quantità di calore da fornire ed alle perdite di carico; esiste anche un vincolo di velocità massima dell'aria che, se troppo elevata, crea turbolenza e di conseguenza rumore (molti non lo sanno, ed ecco che si sentono impianti con sibili e fischi molto fastidiosi...). Oltre alla mandata dell'aria occorre calcolare le dimensioni delle tubazioni di ripresa, per aspirare verso l'unità centrale l'aria da trattare. Importante: non si installano mai bocchette nei bagni, perché l'aria aspirata da questi si mescolerebbe e verrebbe reimmessa in tutte le altre stanze, con conseguenze facilmente immaginabili... Tuttavia, nel caso di grossi bagni, può essere necessario installare un piccolo termosifone elettrico, o addirittura una pompa di calore separata (split), nel caso di bagni ricavati da interi miniappartamenti :-).
Impianto a ventilconvettori (con pompa di calore oppure caldaia): dobbiamo calcolare la perdita nelle tubature e la potenza dei singoli ventilconvettori da installare, dati che troviamo sui cataloghi dei costruttori. Spesso per risparmiare, non si climatizzano i piccoli ambienti; questo potrebbe sembrare un limite di questo tipo di impianto, tuttavia, negli impianti ad aria, come dice il nome, la circolazione d'aria è molto maggiore che nel caso dei termosifoni, e di solito non ci sono difficoltà a riscaldare piccoli ambienti tramite quelli adiacenti, a differenza degli impianti a termosifoni; mentre nei bagni si possono installare dei più economici radiatori, per il solo riscaldamento (al limite anche elettrici). Il dimensionamento dei ventilconvettori può anche essere molto grossolano visto che ognuno ha un suo termostato interno, e, di conseguenza, interrompe il consumo di calore quando la stanza è alla temperatura ottimale, rendendolo disponibile per le altre.
Pompa di calore split: dobbiamo decidere in quali stanze mettere le unità interne e di quale capacità. Il calcolo è molto semplice, perché i tagli delle unità interne utilizzano sono molto pochi (di solito quelli usati negli appartamenti sono da 7000, 9000 o 12000 BTU, raramente - in stanze enormi - 18000); anche qui, visto che ogni unità è termostatata, eventuali errori sono automaticamente compensati dall'impianto, e normalmente non si installano unità nei bagni e nei piccoli locali.
Nel caso di condizionamento (raffreddamento) il metodo di calcolo è simile, ma vi sono alcune modifiche; ad esempio l'influenza dell'irraggiamento solare, che ovviamente ha un'importanza molto elevata d'estate, ed i dati climatici che sono completamente diversi; occorre tenere presente che gli "apporti gratuiti" sono tali d'inverno, mentre d'estate sono altro calore da "aspirare fuori". C'è poi un problema: quando si raffredda l'aria, quasi sempre si crea condensa, ossia l'umidità presente nell'aria (che d'estate è sempre piuttosto elevata), non ce la fa a rimanere vapore e si trasforma in acqua; per farlo, fatalmente cede calore all'aria. Così, in sostanza, il condizionatore è costretto ad assorbire calore sia dall'aria, sia dall'umidità che vuole trasformarsi in acqua. Questo calore è praticamente perso, è un ulteriore prezzo che dobbiamo pagare per rinfrescare l'aria. Questo viene chiamato "calore latente", va calcolato in base al grado di umidità tipico e considerato nella capacità del condizionatore (di solito viene indicato nei dati tecnici dell'apparecchio). Ad essere sinceri, anche durante il funzionamento invernale si crea spesso condensa; ma d'inverno questo avviene solo nelle unità all'esterno (quelle che raffreddano l'aria), e tra l'altro in questo caso si tratta di un fenomeno positivo perché migliora il rendimento.