So già che, chi pensa alla pompa di calore, pensa ad un impianto canalizzato (quegli enormi tubi metallici rettangolari che corrono nei corridoi di molti uffici), oppure ai "termosifoni col ventilatore" (i ventilconvettori) che si accendono e si spengono con l'interruttore.
In realtà di pompe di calore ve ne sono di moltissimi tipi; le applicazioni, poi, sono le più disparate, potendo essere impiegate non solo per il riscaldamento ambientale, ma anche per la produzione di acqua calda, oppure negli essiccatoi industriali, ed in generale in tutte le situazioni in cui si richiede calore a temperatura non molto elevata.
Noi però abbiamo scelto di occuparci della pompa di calore per il riscaldamento domestico. In questa parte ho tentato di tracciare una panoramica mirata alle appartenenti a questa categoria, e di indicarne pregi e difetti, oltre che mettere in evidenza, per ognuna, le caratteristiche da valutare.
Le pompe di calore, per funzionare, hanno bisogno di una fonte di energia meccanica per azionare un compressore; questa è normalmente fornita dall'elettricità, ma sono già disponibili alcuni modelli che utilizzano il gas (metano). La York, ad esempio, ha realizzato già diversi anni fa una pompa di calore azionata da un motore Stirling a metano, che può riscaldare e raffreddare una casa di grandi dimensioni; si chiama Triathlon. Il costo è elevatissimo, ma permette di non cambiare il contratto elettrico, ed anche il consumo di gas è irrisorio; in pratica, è come caldaia ha un rendimento del 140% anziché l'80-90 usuale, che oltretutto può produrre fresco, cosa ovviamente proibita ad una caldaia normale. Ho visto anche altri prodotti simili di altri costruttori, ma sia prezzo che capacità sono analoghi (oltre 10mila Euro per 17 kW in raffreddamento e 28 in riscaldamento - decisamente molto di più di quanto necessita ad un singolo alloggio).
Se si opta per il riscaldamento elettrico, il consumo, per appartamenti non minuscoli, può facilmente superare il 3 kW; in questo caso occorre fare un nuovo contratto di fornitura elettrica, rinunciando agli sconti tariffari per le utenze "casalinghe". C'è la possibilità di pagare poco più di un contratto agevolato facendo un contratto cosiddetto "pompa di calore", e ve ne parlo più avanti visto che quasi nessun installatore vi sa dare informazioni in proposito.
Comunque in questi casi conviene, se possibile, saltare oltre la classica fornitura a 220 volt monofase e richiedere direttamente una trifase a 380; se confrontate le caratteristiche di tutti gli apparecchi, infatti, scoprirete che le versioni a 380 volt, a parità di tutto il resto, consumano il 5-7% in meno, ed il vantaggio cresce man mano che la potenza aumenta.
Come già detto, la potenza fornita da qualsiasi pompa di calore scende man mano che la temperatura esterna scende, ossia proprio quando ce ne sarebbe più bisogno. Al di sotto di una certa temperatura esterna, la pompa "non ce la fa più"; alcuni costruttori (ad esempio la Daikin) fanno entrare in funzione delle resistenze elettriche (poste nelle unità interne) che forniscono del calore ausiliario, ma ovviamente fanno anche salire paurosamente la bolletta. La potenza di queste resistenze è dell'ordine di qualche chilowatt; attenzione a non confonderle con le resistenze di sbrinamento, che servono a riscaldare alcuni componenti esterni, e che non superano i 30/50 watt.
Il compressore è in effetti il "cuore" della pompa di calore o del condizionatore: la sua funzione è quella di trasformare il fluido refrigerante da gas a liquido, consentendogli così di liberare calore che verrà utilizzato là dove serve. Tra i modelli "casalinghi" si trovano normalmente pompe di calore con compressore "scroll" oppure alternativo. Il nome del primo (letteralmente "rotolo") dipende dal fatto che è realizzato a forma di foglio metallico arrotolato; normalmente i compressori scroll sono più efficienti, ma hanno una minore potenza; per questo nelle pompe di potenza maggiore normalmente non vengono impiegati.
La maggioranza (in Italia direi la quasi totalità) di quelle in circolazione sono le pompe di calore che usano l'aria esterna come fonte di calore, per motivi di semplicità e di costo. Purtroppo sono anche le prime a perdere colpi quando fuori comincia a fare veramente freddo; negli USA, invece, non sono infrequenti impianti che usano come sorgente l'acqua o la terra. Queste infatti hanno una temperatura molto più costante dell'aria, oltre alla capacità termica molto maggiore. Ad esempio, se abitate in una zona montana dove d'inverno fa veramente freddo, ma accanto a voi c'è un laghetto oppure scorre un ruscello di dimensioni sufficienti, potete utilizzare l'acqua di questi ultimi per riscaldarvi: in fondo non scenderanno mai sotto zero! Ovviamente dovete evitare di disturbare troppo la temperatura dell'acqua e compromettere le forme di vita che vi vivono, ma con qualche veloce calcolo lo si può verificare.
Se non avete fonti d'acqua nelle vicinanze, potete sempre prelevare il calore dalla terra... è molto semplice: basta scavare uno spazio sufficientemente grande, profondo almeno mezzo metro (vi serve un metro quadro ogni 25 W), stenderci dentro un tubo di plastica apposito, e ricoprirlo; poi vi serve ovviamente una pompa di calore adatta, che sottrarrà calore dal terreno facendo circolare nel tubo acqua e sale oppure fluido antigelo. Il terreno è una fonte di calore e di frescura perfetta (avete presente una cantina?); durante la maggior parte dell'inverno il terreno attorno al tubo sarà gelato, ma questo migliora il contatto termico, mentre d'estate il terreno scaldato perde umidità e diventa un pessimo conduttore di calore; si tratta dunque di una soluzione particolarmente indicata per zone con un clima freddo.
Insomma, la soluzione esiste per quasi tutto; per quanto in Italia sia difficile trovare un buon fornitore anche per una pompa di calore "normale", ne esiste uno specializzato in installazioni geotermiche... lo trovate nella sezione siti utili.
Il “terminale” non è altro che quell’oggetto nella stanza che la riscalda. Può essere un termosifone, una bocchetta d’aria, un ventilconvettori, o qualsiasi altra cosa. Normalmente, indipendentemente dalla sorgente esterna, all’interno la scelta si pone tra due possibilità: una "batteria", ovvero un apparecchio che riscalda acqua, che a sua volta circolando riscalderà dei "termosifoni"; oppure uno o più terminali che riscaldano direttamente l'aria interna. Se la fonte di calore esterna è l'aria, nel primo caso si parla di un sistema "aria-acqua", mentre nel secondo di un sistema "aria-aria"; analogamente possiamo avere impianti "terra-acqua", "acqua-aria" e così via.
Questo tipo di impianto prevede un'unità esterna (nella maggioranza dei casi un parallelepipedo con un grosso ventilatore interno, ma mi sembra impossibile che non ne abbiate mai visto uno), ed una cosiddetta "batteria" interna che in pratica ha la stessa funzione di una caldaia individuale, con la sola differenza che è in grado di produrre anche acqua fredda.
Nonostante l'apparente somiglianza, le tubature dell'acqua per questi impianti sono molto diverse da quelle per il solo riscaldamento: infatti, il passaggio dell'acqua fredda attraverso tubature poco isolate causa la formazione di umidità e condensa, con il risultato che nel giro di poco tempo vi trovereste una magnifica coltura di muffa sui muri in corrispondenza dei tubi, mentre i pavimenti comincerebbero a saltare (non è detto che succeda tutto questo, ma il rischio è concreto). Per questo occorre sostituire tutte le tubazioni con altre garantite per funzionare fino a circa 5 °C senza inconvenienti e dispersioni.
Inoltre, mentre i vecchi termosifoni svolgono egregiamente il compito di riscaldare gli ambienti (grazie alla convezione, cioè la naturale circolazione d'aria causata dal calore), essi funzionano malissimo per raffreddarli; per questo occorre sostituire anche loro con dei ventilconvettori (fan-coil), ossia delle batterie dotate di un ventilatore, normalmente comandato da un termostato. Per funzionare, ovviamente, il ventilconvettore ha anche bisogno di un'alimentazione elettrica; ma di questo parleremo più avanti.
Gli impianti aria-acqua vengono comunemente considerati quelli più raffinati che è possibile realizzare; ovviamente anche il costo è il più alto. Non sono però del tutto convinto che valgano quello che costano. L'Aermec ha realizzato un impianto, chiamato Idrosplit, che in pratica consiste in una batteria aria-acqua per il solo raffreddamento, a cui deve necessariamente essere abbinata una caldaia tradizionale per il riscaldamento e la produzione di acqua calda. L'idea, detta in due parole, è che d'inverno ci si riscaldi bruciando combustibile tradizionale; d'estate ci si rinfreschi azionando la batteria a funzionamento elettrico, che consuma circa 2 kW e di conseguenza può essere usata con il tradizionale contratto elettrico da 3 kW di ogni casa. Con questa poca potenza è possibile raffreddare quelle sole due o tre stanze dove ci sono effettivamente persone. In questo modo è possibile avere la massima potenza d'inverno senza gravare sul consumo elettrico, mentre d'estate si può godere di un comfort discreto senza bisogno di aumentare il contratto di fornitura elettrica.
Però permettetemi di fare una rapida considerazione sull'aspetto economico: in pratica d'inverno non ho nessun risparmio, perché mi devo sempre riscaldare con metano, gasolio o quel che sia; d’estate ho il solo vantaggio di non dover aumentare il contratto di fornitura elettrica; poche decine di Euro al mese, contro un costo, per un impianto di questo genere, che sfiora i 10mila Euro per un appartamento intorno ai 100 mq. E se ho un impianto esistente posso salvarne solo la caldaia, dovendo buttare termosifoni e tubature e rifare tutto. Con molto meno della metà di questa cifra posso installare un impianto autonomo tradizionale (o addirittura lasciarlo, se già esiste), ed in più installare dei condizionatori “split” in ogni stanza in cui mi servono. Avrò un impianto più affidabile, che consuma di meno, e che soprattutto costa MOLTO meno. Diverso sarebbe stato se questo impianto fosse stato reversibile, cioè in grado di funzionare anche come pompa di calore; in questo caso avrei potuto, se la potenza non fosse stata sufficiente, preriscaldare l'acqua prima del riscaldamento con la caldaia tradizionale; in questo caso avrei potuto andare con la sola pompa di calore nelle mezze stagioni, o scegliere se riscaldarmi con pompa di calore oppure a gas, in base al prezzo dei due "combustibili"...
Certo qualche vantaggio rispetto ai termosifoni tradizionali c’è, grazie alla presenza del ventilatore nell'unità interna, il riscaldamento degli ambienti avviene in modo molto più rapido; ed inoltre la presenza di un termostato migliora la stabilità della temperatura, e quindi il comfort. Ma non mi pare che il gioco valga la candela...
"Accessori" indispensabili negli impianti aria-acqua, a parte i classici ventilconvettori da pavimento, diffusissimi negli uffici, che si installano nelle stesse posizioni dei termosifoni, vi sono anche modelli da soffitto e da incasso in controsoffitto, da angolo e così via; particolarmente adatti per le abitazioni, già da qualche anno sono disponibili modelli da parete dotati di telecomando che somigliano moltissimo, per dimensioni e prezzo, ai noti "split". Hanno ventilatori a 3, 4 o 5 velocità che consentono la massima velocità di riscaldamento/raffreddamento, oppure la massima silenziosità; sono sempre più diffusi i modelli con telecomando a infrarossi.
I ventilconvettori, come già detto, per il collegamento impiegano tubature apposite; oltre ai due tubi di entrata e di uscita dell'acqua ne occorre un terzo per lo scarico dell'acqua di condensa, che si produce invariabilmente là dove l'aria viene raffreddata (d'estate, quindi, dentro casa, e d'inverno fuori). Infine, occorre prevedere un'alimentazione a 220 volt per il ventilatore e l'elettronica di controllo interna, ed un collegamento elettrico tra il ventilconvettore e l'unità esterna (normalmente due fili).
In alternativa all’acqua, si può, all’interno dell’abitazione, raffreddare direttamente l’aria. Se il raffreddamento avviene in un solo punto, e poi l’aria fredda viene distribuita tramite condotte forzate nelle varie stanze, si realizza un impianto canalizzato. La realizzazione di questo tipo di impianti è apparentemente semplice, soprattutto nelle case dove c'è un corridoio su cui si affacciano tutte le stanze; se questo può essere controsoffittato, basta trovare uno spazio per lo scambiatore interno e montare un tubo per portare l'aria alle bocchette di diffusione poste in ogni stanza. Le cose però non sono proprio così semplici.
Il primo problema che nasce è quello della "ripresa" d'aria: l'impianto soffia sì aria nelle stanze, ma che fine fa quella che c'era prima? Se non c'è un adeguato sistema di aspirazione, la stanza va in sovrappressione e comincia a scaricare aria calda in quelle adiacenti o addirittura all'esterno, con conseguente difficoltà di apertura e chiusura di porte e finestre, rumori di spifferi e/o aumento smodato di consumi...
Negli impianti che si vedono normalmente negli uffici, quindi, le tubature dell'aria sono due: la "mandata" e la "ripresa" dell'aria; l'aria climatizzata viene "soffiata" nella stanza, mentre quella già presente viene aspirata via, mantenendo l'equilibrio di pressione; negli impianti di grosse dimensioni l'aria aspirata, che è calda ma anche viziata, viene miscelata con una quantità regolata di aria esterne (non meno del 10%) prima di tornare al riscaldatore e quindi di nuovo nelle stanza; normalmente però nelle abitazioni questa miscelazione non è prevista, poiché al ricambio sono sufficienti gli spifferi e le perdite d’aria degli infissi. Sempre nelle abitazioni, dove è difficile installare una doppia tubatura, normalmente la ripresa viene effettuata "in aria libera", ossia direttamente tramite la circolazione ambientale; perché l'aria possa circolare dall'unità centrale alle stanze e viceversa, occorre quindi un cammino per l'aria. Esso viene normalmente realizzato tramite le porte tra le stanze, che vengono forate e munite di una griglia, oppure lasciando una fessura di una certa entità sotto. Se installate uno di questi impianti, questa è la prima cosa da tenere presente.
Il secondo problema è il rumore; se l'aria viene spinta o aspirata troppo violentemente, si creano delle turbolenze, che in pratica si manifestano come un fastidioso "fischio" di sottofondo; per evitare che questo accada, le tubature devono essere sempre abbastanza grandi da portare il flusso d'aria previsto ad una velocità sufficientemente bassa. La portata d'aria, a sua volta, non dipende solo dalla potenza del ventilatore che muove l'aria, ma anche dalla "perdita di carico", ossia dalla dimensione del condotto e dalla sua lunghezza, dal numero di curve, dalla sua forma, e dal numero di bocchette che alimenta. In pratica, fare questo calcolo è cosa tutt'altro che semplice; ci vorrebbe un vero progettista, che però normalmente non rientra nel "budget" tipico per questo tipo di impianti. Nella maggioranza dei casi, quindi, ci si rivolge ad un "praticone" che, con l'esperienza, riesca ad imbroccare l'impianto giusto, magari un po' sovradimensionato, senza impazzire troppo in calcoli. Ma come fa, chi è completamente a digiuno della materia, a distinguere un vero esperto? Francamente non lo so; sappiate dunque che state rischiando. Ma forse, se state leggendo con attenzione queste righe, non sarete più così digiuni della materia...
A parte la maggiore complicazione di calcolo, il sistema canalizzato presenta degli indubbi vantaggi. Per prima cosa, è un impianto con una buona efficienza, poiché c'è sempre bilanciamento tra calore prodotto dall'unità esterna e quello assorbito dall'unità interna. Vedremo che questo è invece un problema centrale per impianti come i multisplit. Inoltre, se è ben progettato, il canalizzato ha una silenziosità notevole. Il fatto di poter mettere un numero elevato di bocchette di immissione ed aspirazione d'aria permette un ricambio uniforme in tutti i punti, garantendo un'ottima uniformità di temperatura, che viene raggiunta in pochissimo tempo. Inoltre si possono inserire bocchette anche in piccoli ambienti (ripostigli), in modo da migliorare il ricambio d'aria. Per contro, non si può condizionare i bagni, e qualche problema può essere causato perfino dalla cucina, poiché tutti gli odori si spargono rapidamente per tutta casa (si deve pensare anche a questo...!).
Se non si desidera accendere l'impianto contemporaneamente in tutta casa, è possibile suddividere in due l'impianto: per esperienza, conviene che una parte climatizzi la zona giorno, l'altra la zona notte; questo consente di risparmiare accendendo solo la parte che serve, differenziando magari gli orari, ed a volte semplifica anche l’installazione delle tubature.
Di solito le bocchette d'aerazione sono delle semplici griglie fisse, di modo che, accendendo l'impianto, tutte le stanze sono riscaldate in uguale misura. È però possibile impiegare delle bocchette regolabili, che consentono di regolare l'afflusso d'aria, quindi la temperatura, o anche chiudere completamente il riscaldamento in una stanza; se non che il loro utilizzo crea sempre qualche problema in una casa, poiché chiudere una bocchetta fa riversare più aria sulle altre, e di conseguenza aumenta il rumore e gli squilibri di temperatura. Per evitare questi ultimi esistono anche delle bocchette termostatate, che si aprono e si chiudono proporzionalmente alla temperatura dell'ambiente. Sono una grande invenzione, poiché permettono di compensare sia le variazioni di temperatura esterna o l'apertura di una finestra, sia gli eventuali errori di progetto, ma purtroppo, almeno quando io mi sono informato sul loro costo (nel 1996), questo era proibitivo: 200/250 euro l'una!!!
Grande sviluppo ha avuto negli ultimi anni soprattutto questa tipologia di impianti; il motivo è facile da immaginare: l'installazione è di solito la meno distruttiva di tutte, poiché è sufficiente forare le pareti esterne in corrispondenza dei punti di installazione, senza bisogno di stendere lunghe tubature né di aprire tracce su pareti e pavimenti. In effetti, oggi la stragrande maggioranza dei condizionatori installati è di questo tipo, e cominciano ad avere una notevole diffusione anche le pompe di calore.
Gli split sono i diretti discendenti dei condizionatori monoblocco, quelli che si montano su un trespolo facendo un buco sul vetro della finestra; a differenza di questi, gli "split" sono divisi in due blocchi, un'unità interna ed una esterna, collegate tra loro tramite due tubi (gas e liquido); da cui il nome. Inutile dirlo, la loro efficienza è infinitamente superiore a quella dei loro antenati. I multisplit, invece, con una sola unità esterna possono alimentare più unità interne (fino a cinque), anche di diversa capacità; ritorna però molto spesso la necessità di fare tracce ed installare tubazioni.
Gli impianti multisplit hanno il vantaggio di essere semplici e robusti, ed inoltre consentono di climatizzare solo le stanze effettivamente utilizzate; si potrebbe pensare quindi che lo split sia il più efficiente sistema tra quelli finora visti. Ciò è vero solo se non si utilizzano sistemi multisplit. Se andiamo ad esaminare i dati tecnici di un multisplit "tradizionale", faremo una scoperta bizzarra: consumano di più quando si accende una sola unità interna, e man mano che si accendono le altre consumano sempre di meno! Il problema, infatti, è che il compressore esterno, comandato dal termostato posto all’interno, o è spento o lavora alla massima potenza. Se c'è una sola unità interna in funzione, il calore ceduto al fluido non viene interamente assorbito dall'unità interna; al compressore ritorna quindi un fluido più caldo che viene ulteriormente riscaldato, e questo è esattamente come se stessimo riscaldando l'appartamento a 25 o 30 gradi e non a soli 20. In questa situazione, come sappiamo, l'efficienza della pompa di calore cala notevolmente.
Verrebbe allora da concludere che conviene accendere il riscaldamento in tutte le stanza, poiché così si risparmia. Anche questo però non è vero. Infatti, sebbene in modo meno efficiente, accendendo una sola unità il calore prodotto da questa è molto maggiore, e quindi il tempo impiegato a scaldarsi è inferiore; il compressore rimane in funzione per periodi più brevi, e globalmente dunque il consumo sarà inferiore. In altre parole, se di due unità ne facciamo lavorare solo una, il risparmio conseguito sarà del 20 o 30% e non del 50% che ci saremmo aspettato. Questo diventa un grosso limite se l’utilizzo degli ambienti è saltuario, soprattutto se il multisplit deve alimentare parecchie unità interne.
Per ovviare a questo inconveniente, i costruttori hanno proposto diverse soluzioni; il loro livello di pregio, e di conseguenza il miglioramento di prestazioni, determina il prezzo; così, ancora una volta, gli impianti che consentono i maggiori risparmi sono quelli che costano di più.
La prima soluzione è quella di impiegare due compressori e due ventilatori separati nella stessa unità esterna; si tratta, a tutti gli effetti, di due impianti separati nello stesso contenitore, ciascuna delle quali gestisce una o due unità interne. In caso di funzionamento in regime ridotto, solo il compressore esterno relativo entra in funzione; l'efficienza è quindi maggiore. Un esempio di questi apparecchi sono i modelli HENF della Mitsubishi Heavy Industries. Se doveste optare per un impianto del genere, fate collegare allo stesso compressore le unità interne che hanno la massima probabilità di lavorare contemporaneamente; in questo modo si avrà il massimo risparmio. Appena installato l’impianto, poi, fate immediatamente una prova: accendete solo un’unità interna e controllate che, dopo qualche minuto, cominci a scaldare o raffreddare. A volte, infatti, per errore l’installatore potrà collegare i comandi elettrici su un compressore, e le tubature su un altro; il risultato sarà che, mentre un compressore lavorerà come un matto per alimentare l’unità interna che non è in funzione, quella unità in funzione non climatizzerà un bel nulla; e di questo problema, che rischia perfino di danneggiare il compressore, non ci si accorgerà se, pieni di entusiasmo come sempre capita, alla prima prova si accendono tutte le unità interne!
Una soluzione tecnicamente ancora più raffinata è quella di utilizzare un unico compressore, regolandone invece la potenza in base alle necessità con un sistema elettronico: l'inverter.
Un breve excursus tecnico, dedicato ai esclusivamente ai curiosi come me (potete saltarlo a pié pari): il nome "inverter" farebbe pensare ad un'inversione di qualcosa, come ad esempio tra caldo e freddo. Non è così: e mi ci è voluto un po' di tempo per capire come sia nato questo nome. Quasi tutti i compressori delle pompe di calore utilizzano motori asincroni; gli stessi delle lavatrici, per capirci, che sono robusti e silenziosi. Il problema di questo tipo di motori è che non è facile regolarne la potenza come si può fare con i motori a spazzole, come quelli dei trapani, i quali dal canto loro sono sì regolabili, ma anche molto più rumorosi, consumano di più e sono meno resistenti. L'unico modo, infatti, di regolare un motore asincrono è di variare la frequenza dell'alimentazione; per farlo è necessario trasformare la corrente alternata in continua, e quindi riconvertirla in alternata alla frequenza voluta. Questa seconda conversione viene eseguita da un inverter, da cui il nome; un inverter è anche quello che si impiega sui "gruppi di continuità" spesso usati per computer. Date le potenze in gioco, questa doppia trasformazione è tutt'altro che semplice ed economica, e comporta comunque un aumento di consumi. Oggi, per fortuna, grazie all'elettronica di potenza sofisticatissima che abbiamo, possiamo risolvere il problema alimentando direttamente dalla corrente continua un motore tramite modulazione ad impulsi; il motore è semplice e robusto come uno asincrono, ma ha bisogno di un'elettronica di controllo piuttosto sofisticata; in compenso, le sue prestazioni sono il non-plus-ultra. Così, sparito il motore asincrono, una pompa di calore "inverter" prende il nome da una sua parte che oggi non esiste nemmeno più.
L'applicazione della tecnologia Inverter non è limitata ai sistemi multisplit: anzi, è sempre più diffusa anche tra gli split singoli. Essa infatti consente alla pompa di calore di lavorare sempre alla potenza ottimale, migliorando così lo scambio termico e diminuendo i consumi; le prestazioni sono eccellenti nelle medie stagioni, quando il carico richiesto è più ridotto, mentre consumano circa il 5% in più se usati alla massima potenza. La caratteristica dei sistemi inverter è infatti di non spegnersi mai: dopo aver lavorato alla massima potenza appena accesi, quando la temperatura in casa si avvicina a quella ideale la loro potenza si regola automaticamente sul valore di mantenimento; il rendimento energetico, quindi, è sensibilmente migliore, ed il risparmio nelle mezze stagioni può raggiungere il 30% (o almeno così dicono); anche il comfort aumenta, perché il flusso d'aria non è più caldissimo o gelido. Se questo è un grosso vantaggio per gli split singoli, lo è ancora di più per i multisplit; il modello MXZ-32 della Mitsubishi Electric, ad esempio, uno dei primi prodotti multisplit inverter di larga diffusione, ha una regolazione automatica tra 2 e 9 kW di potenza resa, con un COP sempre maggiore di 3,2, quindi indipendentemente dal fatto che ci siano una o quattro (il massimo) unità interne in funzione.
È importante però tenere presente che, mentre un modello tradizionale lavora in modo ottimale quando è sfruttato al massimo, un inverter lavora meglio quando non lo è; quindi, mentre il primo non andrebbe sovradimensionato oltre il 10/15%, il secondo dovrebbe essere almeno del 15% più potente del necessario.
In conclusione, se si opta per un impianto di tipo "split", compatibilmente con gli altri problemi di installazione e di disponibilità a catalogo, la preferenza, va, nell'ordine, a:
In conclusione, come si vede, non esiste l'impianto ideale, e questo vale anche in confronto ad altri tipi di riscaldamento; ho raccolto quindi in una tabella un confronto tra gli impianti ad aria; valutate quali pregi vi incantano di più, e quali lati negativi hanno meno importanza per voi...
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